Pier Paolo Pasolini : "La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza" / Il mio omaggio per Pier Paolo Pasolini è una profonda riflessione sulla solitudine.
Ripropongo uno scritto di Pasolini apparentemente disilluso e solitario ma che nella sua forma più essenziale resta un prezioso lascito per tutti noi uomini contemporanei del terzo millennio. La solitudine di questo controverso intellettuale ha fruttato un patrimonio artistico e culturale di notevole importanza storica. Questo patrimonio andrebbe rivisto con occhi diversi: in primis sarebbe opportuno spogliarlo di mitologia, per poi favorire una rilettura corale e popolare - per essere offerta e ridistribuita ai figli del popolo - come pane quotidiano. Pier Paolo Pasolini nella sua drammatica vicenda umana, ha percorso la strada di un uomo in lotta contro un'intero sistema - mosso però da una propensione più poetica ed esistenziale - che politico idealista. Pasolini non ha scelto di farsi martire - forse è accaduto in maniera inconsapevole - perché il suo socialismo oggi ci appare come un surrogato moderno del cristianesimo.
E' stato anche un antirivoluzionario - vedere le posizioni sul 1968 - quando si schierò dalla parte dei poliziotti durante le manifestazioni studentesche - contrapponendosi alla nuova onda rossa borghese - motivando le sue ragioni - in quanto le forze dell'ordine erano figlie della povertà dei braccianti e dei contadini del Sud.
La Solitudine come Croce: Pasolini l'Unto. Non sarebbe potuto essere diversamente, se per un attimo ci soffermiamo nell'analisi critica di un'opera come "Il Vangelo secondo Matteo." Tale mente non è un paradosso esistenziale. Ci ha fornito dei preziosi strumenti e delle un'opportunità morali per comprendere l'interezza e la pienezza della vita, perché come tutti gli uomini, egli è stato un santo e un peccatore alla ricerca di un senso definitivo da poter dare allo stato delle cose.
La Solitudine come Croce: Pasolini l'Unto. Non sarebbe potuto essere diversamente, se per un attimo ci soffermiamo nell'analisi critica di un'opera come "Il Vangelo secondo Matteo." Tale mente non è un paradosso esistenziale. Ci ha fornito dei preziosi strumenti e delle un'opportunità morali per comprendere l'interezza e la pienezza della vita, perché come tutti gli uomini, egli è stato un santo e un peccatore alla ricerca di un senso definitivo da poter dare allo stato delle cose.
" Nessun prete mi ha mai parlato, come te, di Gesù Cristo e di san Francesco. Una volta mi hai parlato anche di sant’Agostino, del peccato e della salvezza come li vedeva sant’Agostino. È stato quando mi hai recitato a memoria il paragrafo in cui sant’Agostino racconta di sua madre che si ubriaca. Ho compreso, in quell’occasione, che cercavi il peccato per cercare la salvezza, certo che la salvezza può venire solo dal peccato, e tanto più profondo è il peccato tanto più liberatrice è la salvezza. Però ciò che mi dicesti su Gesù e su san Francesco, mentre Maria sonnecchiava dinanzi al mare di Copacabana, mi è rimasto come una cicatrice. Perché era un inno all’amore cantato da un uomo che non crede alla vita. Non a caso l’ho usato nel libro che non hai voluto leggere. L’ho messo in bocca al bambino quando interviene al processo contro la sua mamma: “Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente credere all’amore se non si crede alla vita?”.
( Oriana Fallaci a P.P. Pasolini).
Ogni uomo abbraccia il proprio destino. C'è colui che: inquieto, vuole attingere alla fonte della verità, e c'è chi si isola tra le persone, vivendo nella superficie della società - per non riconoscersi mai nel dubbio - e morire in un'abbondanza destinata a disperdersi, erosa attraverso lo stallo del tempo. In Pasolini, anche per via dei propri mezzi creativi ( cinema, teatro, e scrittura poetica) regna la Pietas. La solitudine non è altro che la conseguenza di una sacrale necessità espressiva di tradizione umanistica.
La Solitudine, di P.P. Pasolini.
Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
- e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
E’ il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
+ Link di Franco Confessore
Un pezzo di "esplorazione attraverso ombre, riflessi e proiezioni...
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consapevoli e inconsapevoli"
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